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Molto spesso mi capita di visitare bambini con grossi problemi comportamentali.  E mi capita altrettanto spesso di scoprire che quei bambini hanno "perso" una figura per loro importante senza avere potuto "partecipare" alla loro perdita. Questa lettera scritta da un genitore mi sembra sintetizzi il problema. Vi affido alla risposta d Paolo Roccato, che si occupa in maniera seria e competente anche di questi problemi.   

 

 

Caro dottore,
giorni fa in un incidente stradale è morto mio cognato. La tragedia ci ha travolto tutti. Ora ci troviamo ad affrontare il trauma di suo figlio di quattro anni. Non gli abbiamo ancora detto nulla, ma sembra che qualcosa abbia capito: non chiede mai del papà, anche se prima stava spesso con lui; è diventato irrequieto e indisciplinato; ieri ha chiamato una zia “papà”. Non sappiamo come comportarci, se dirgli subito dell’accaduto o aspettare che sia lui a far domande; né sappiamo come render meno traumatica la notizia, né come far superare al bambino l’insostituibile perdita del padre.

 

Gentile signora,

mi dispiace per la tragedia che vi ha colpiti. La vita è fatta così: è a termine. E non sappiamo

come e quando finirà per noi, né per i nostri cari, né per nessuno. Mi chiede che fare per il bambino di quattro anni.

 

Dirglielo o non dirglielo che papà è morto?

 

La linea guida da adottare, in fondo, è semplice: la verità, sempre. In modo comprensibile per il bambino, bisogna assolutamente dirglielo.

 

Quando?

 

Subito. Prima lo si fa e meglio è. Tra l’altro, il bambino non è stupido: coglie che qualcosa di grosso è capitato; che tutti intorno sono colpiti da qualcosa di grave e doloroso. Se non gli si danno le informazioni necessarie, non può capire cosa sta accadendo. Né può orientarsi. Vivrà un’angoscia impossibile da gestire, perché senza forma in quanto privata di contenuto. Non sapendo, è costretto a fare ipotesi, lavorando di fantasia. È facile così che si senta lui colpevole per il dolore e l’angoscia dei grandi.

 

E che cosa potrà pensare del fatto che papà, prima tanto presente, non si fa più vedere? Ce l’avrà con lui, magari perché è stato cattivo? L’avrà abbandonato perché non lo meritava? È andato da un altro bambino più bello, più bravo, più buono, in un’altra famiglia migliore?

 

E così via, nelle varie ipotesi che, inevitabilmente, si trova costretto a fare, se non viene a sapere ciò che è accaduto e come è accaduto.
Se gli dite la verità, che papà è morto in un incidente stradale, lo aiutate a farsi un’idea dell’accaduto. Così potrà anche lui elaborare il lutto. Saranno preziosi i momenti di affettuosa intimità che saprete trovare fra voi nel ricordare il papà morto, compiangerlo, sentirne la mancanza, condividere dolore, rimpianto, rassegnazione, rabbia, senso di impotenza, disperazione, nostalgia…
Il bambino, se non gli parlate in modo del tutto esplicito, chiaro, comprensibile, si sentirà (e si troverà realmente!) solo, abbandonato nel suo smarrimento. Non lo si sostiene confondendolo, ma aiutandolo a orientarsi nella verità delle cose che lo riguardano. E questa riguarda, poveretto, anche lui. Per quanto piccolo, è attrezzato ad affrontare anche questa tragedia. Bisogna accompagnarlo nell’affrontare la sua verità. Non è possibile render meno traumatica la notizia. Se non gli dite la verità, lo danneggiate, rendendogli più difficile l’elaborazione del lutto. Se vi vede piangere e sa perché, può capire che è sano e giusto piangere per una perdita tanto grave e dolorosa: potrà anche lui piangere, aprendosi alla possibilità di essere consolato. Trovarvi in qualche momento a piangere sinceramente insieme può dare a tutti voi grande conforto.

La verità necessaria. È certo che la sua irrequietezza è collegata all’aver, giustamente, capito che è successa una cosa grave, ma che lui deve esserne tenuto all’oscuro.

 

Chi non sarebbe irrequieto, in tale situazione?

 

È probabile che l’essere “indisciplinato” sia connesso anche al desiderio di “snidare” il papà “nascosto” da qualche parte: che venga fuori, finalmente, magari per sgridarmi! È anche un probabile segno d’angoscia: sento che non mi posso fidare di nessuno, perché qua succedono cose gravi, e nessuno mi dice niente! È una condizione disperante, che fa molto irritare, che dà grande insicurezza.
Sarebbe stato meglio portarlo a vedere il corpo del papà morto e portarlo al funerale, per favorire che si potesse fare un’idea di cosa vuol dire “morto” e di dove va a finire il corpo del papà morto. È importante per gli adulti farsi un’idea di cosa sia “morto” e cosa sia “sepolto”, ma lo è forse ancor più per i bambini. Penso che ora possiate recuperare, dicendogli con franchezza, amore e delicatezza le cose vere, esatte. Vedrete che andrà bene. Anche lui, così, potrà sapere cos’è capitato, capirà perché siete tutti addolorati e potrà permettersi di esserlo anche lui, riconoscendone il senso. Potrà, soprattutto, sentirsi circondato da un amore sincero, che lo stima, ritenendolo in grado di conoscere le cose vere che lo riguardano.

Un silenzio che pesa. Il fatto che abbia chiamato “papà” una zia ci dice quanto il papà è nei suoi pensieri e quale titanico sforzo sta facendo per riuscire a raccapezzarsi. Sforzo inutile (basta dirgli le cose vere), certamente più pesante e danneggiante che non l’approccio schietto alla verità. Sentendo che non gli dite nulla del papà, è probabile che abbia “capito” che voi volete che lui non ne sappia nulla. Per questo non ne parla: per “ubbidire” e assecondare un vostro bisogno. Non fa domande, semplicemente perché ha capito che voi non siete disponibili a dargli le risposte. Parlategli con franchezza e amorevole schiettezza, dimostratevi genuinamente disponibili a dirgli tutto, e vedrete che vi farà tutte le domande di cui avrà bisogno.
La traumaticità psichica di un evento risiede nella sua non-pensabilità. Per bonificare un trauma, si deve favorire che l’evento divenga pensabile. Il modo migliore e più efficace è favorire che se ne parli. La morte di un genitore, ancor più se improvvisa, è altamente traumatica per un bambino. Per questo bisogna parlargliene. Non cercate di fargli “superare” niente. Cercate di favorire che anche lui, come tutti voi, possa vivere questa esperienza di perdita per quello che è. Non potrà mai superare nulla, se prima non lo avrà vissuto. Vivete questo tragico, doloroso, terribile momento insieme. Sarà il tessuto amoroso tra di voi nella verità condivisa quello che, lentamente, farà recuperare la vita e il sorriso a tutti voi, compreso il bambino.

Come gli adulti, anche i bambini hanno bisogno di sapere tutta la verità per riuscire a elaborare un lutto: hanno bisogno di capire quel che è successo, di partecipare al funerale, di piangere e ricordare insieme, di condividere con gli altri il proprio dolore.
Il silenzio reticente non li aiuta. Aggrava la traumaticità dell’evento. Li confonde. Li espone a un’angoscia che non riesce a prendere forma pensabile, perché privata dei contenuti.
Un bambino che ha perduto un genitore si ritrova inevitabilmente col genitore superstite depresso. Ha, quindi, ancora più bisogno di aiuto nell’elaborazione del lutto. Lo si aiuta parlandogli e favorendo che ne parli.
La traumaticità psichica di un evento risiede nella sua non-pensabilità. Per bonificare un trauma, si deve favorire che l’evento divenga pensabile. Il modo migliore e più efficace è parlarne.

 

Forse si può trovare un po’ di aiuto in due libretti:

 

- Mélanie Florian, Mi nascondete qualcosa, Gribaudo 2011, pp. 24, Euro 12,00.

Illustrato, per bambini. È la storia di una bambina che cerca di capire cosa vuol dire che la nonna è morta. Scruta le reazioni dei grandi, coglie che qualcosa non le è stato detto, capisce che la nonna è morta. Alla fine fa un bel disegno per la nonna e lo regala alla mamma. Viene tracciato, con linguaggio adatto ai bambini, un possibile percorso per iniziare l’elaborazione di un lutto e condividerne l’esperienza con gli adulti.

 

- Margot Sunderland, Aiutare i bambini a superare lutti e perdite, Erickson 2010, pp. 73, Euro 19,00.

Per genitori ed educatori. L’impostazione, molto chiara e pedagogica, è qua e là un po’ troppo schematica e direttiva. Molte idee sono valide, altre un po’ troppo prescrittive. Buono da leggere, per farsi qualche idea di base e dell’insieme del problema. È poi utile posarlo, dimenticare quello che si è letto, per potersi inventare qualche cosa in proprio che sia adeguato al proprio sentire. Ha allegato un libro illustrato di 40 pagine per i bambini (e a chi è in contatto con loro). Il giorno in cui il mare se ne andò per sempre). Racconta la storia di un piccolo drago che viveva in riva al mare. Quando il mare scomparve per sempre, racconta il dolore, la disperazione, la depressione; ma poi anche il rifiorire della vita e della speranza attraverso l’amicizia, accompagnato dai ricordi, dolorosi ma belli. Anche qui è indicata una possibile via per l’elaborazione del lutto all’interno della verità dell’esperienza vissuta, raccontata con linguaggio adatto ai bambini (e a chi è in contatto con loro).

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