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Capricci: che fare?Come affrontare un capriccio? Certi genitori vanno letteralmente nel panico quando il bambino scatena un capriccio. È facile che si sentano in colpa, perché leggono nel capriccio una (neppure troppo mascherata) rabbiosa accusa di inadeguatezza e la previsione di una delusione data quasi per certa. È probabile, allora, che rispondano al capriccio cedendo del tutto alle richieste sciocche e pretestuose del bambino, o innescando una specie di litigio, di tira e molla, che rischia di diventare interminabile, o sbottando in violente proibizioni e punizioni feroci. E anche quando “cedono”, spesso lo fanno protestando, svalutando, sgridando, disprezzando. Il risultato è quello di confondere il bambino (e se stesso, genitore), con messaggi contraddittori: da un lato te la do vinta, dall`altro lato sancisco che lo faccio solo perché sei un insopportabile imbecille. Cerchiamo di orientarci. Come per ogni realtà umana, non ci sono regolette “giuste” cui attenersi. Si tratta di cercare di orientarsi, per poter scegliere di volta in volta gli atteggiamenti che possano essere sufficientemente adeguati. Come? Non fermiamoci al solo piano relazionale esplicito, ma proviamo comprendere quali cose presumibilmente si stanno svolgendo nel piano relazionale implicito, che è quello importante. Bisogna, però, chiarire subito che, nell`occasione di un capriccio, conviene non farla mai troppo lunga. Poche risposte, chiare, esplicite, ben orientate nella direzione giusta sono meglio di qualunque infinito chiarire, spiegare e rispiegare, contrattare e ricontrattare, in vertenze senza fine. I “temi” del capriccio. Ogni capriccio si struttura su un tema esplicito, che prende la forma “Voglio”/“Non voglio” (per esempio: “Voglio le patatine”; “Non voglio gli spinaci”), e contemporaneamente su un tema implicito, che riguarda bisogni fondamentali del bambino. É necessario trattare in modi differenti i capricci secondo i loro differenti temi, soprattutto quelli impliciti, che sono i più importanti. - Partiamo dal caso in cui sottostante al capriccio c`è il bisogno del bambino di venire rassicurato di essere ancora amato. È ovvio che qualunque risposta che non contenga anche questa rassicurazione non può risolvere il capriccio. Nell`esempio delle fatidiche patatine, non serve a nulla comprargliele e basta: è necessario dirgli anche qualcosa del tipo “Va bene, per questa volta te le compero. Ma guarda che io ti voglio bene lo stesso, sai, anche senza che io ti debba comprare le patatine per fartelo sapere”. Nel caso si decida, invece, di dirgli di no, è necessario non dirgli solo: “No, adesso non te le compero, per questo e quel motivo (dicendo, ovviamente, la verità: “Non possiamo spendere soldi per queste cose”; “Se mangi tutte quelle patatine, diventi grasso come una balena”; “Alla fine della settimana ti do i soldi delle patatine giornaliere, così ti compri quello che vuoi, magari più bello”; ecc.). Conviene dirgli anche qualcosa del tipo: “Guarda però che, anche se questa volta non ti compero le patatine, io ti voglio bene davvero, sai?”. In ogni caso, conviene fare un profondo respiro prima di parlare, per evitare situazioni grottesche in cui si rischia di urlargli furibondi sul muso, a denti e pugni chiusi: “Guarda che io ti voglio bene, sai?”. È da sottolineare il fatto che rispondere cedendo e, contemporaneamente, disprezzandolo, confonde ancora di più il bambino (e il genitore), perché proprio nel mentre che viene accontentato sul piano esplicito della concretezza irrilevante, al bambino viene data una risposta contraria alla rassicurazione profonda da lui cercata. “Uffa Non ti sopporto più. Ti compro `ste patatine del cavolo. Sei proprio un cretino insopportabile”. Passato l`episodio “capriccio”, nei giorni e nelle settimane seguenti converrà fare attenzione a lanciare adeguati messaggi chiari e rassicuranti sul fatto che gli si vuole davvero bene, non concretizzando però nuovamente il discorso sulle cose (come potrebbe essere comprargli la macchinina), ma con espressioni dirette di amore: mostrando genuino interesse per lui e per le sue esperienze di vita. - Se il capriccio si attiva per il bisogno del bambino di sapere quanto potere ha, sia in assoluto sia nel rapporto con l`adulto cui è affidato, è necessario che le risposte siano realistiche, in modo che il bambino possa percepirsi né con troppo potere (cosa che lo angoscerebbe, perché lo farebbe sentire “nel vuoto”, non “contenuto”, non protetto), né con troppo poco potere (col rischio di farlo sentire squalificato, privo di valore). Nelle settimane successive al capriccio, bisognerà fare attenzione a creare situazioni in cui il bambino possa esercitare un certo realistico potere, come potrebbe essere decidere il gioco da fare, la torta da preparare insieme, il vestito da acquistare, il regalo da scegliere per un amico, e simili. - Quando il capriccio si innesca come segnalazione che l`adulto sta esercitando il proprio potere con il bambino in modi confusi, contraddittori, o del tutto omissivi, è necessario che le risposte siano ferme, chiare, univoche. Si tratta del caso, in fondo, più facile, che però si struttura di solito perché l`adulto ha reali difficoltà ad esercitare con tranquillità il proprio normale potere sui figli. Talora questi genitori sono ex-bambini che hanno subito vessazioni, per cui si sentono in colpa se impongono qualche cosa a propria volta ai bambini. Di qui, i loro modi contraddittori e confusi o addirittura del tutto omissivi. È ovvio che nelle settimane successive al capriccio l`adulto deve cercare di recuperare il terreno, col dare regole chiaramente esplicitate, semplici, facili da seguire, e deve rimanere fermo nell`esigere che il bambino vi si attenga. - Nei casi in cui col capriccio il bambino cerca di mettere alla prova la relazione per verificare se l`adulto è debole, fragile, inconsistente, o se riesce invece ad essere forte e rassicurante, è necessario che l`adulto cerchi di rispondere (al momento e più ancora nei tempi successivi) in modi coerenti, chiari e rigorosi, che saranno quindi per ciò stesso rassicuranti. Se quello messo alla prova dal capriccio è un genitore che momentaneamente si trova ad essere più fragile del solito (per una malattia, per esempio, o per una qualche sua situazione particolarmente ansiogena, come la prospettiva di un esame o un famigliare da assistere), può essere utile che chieda aiuto all`altro genitore, affinché, nei giorni e nelle settimane successive al capriccio, possa fornire lui le rassicurazioni necessarie in quel momento al bambino. - Se col capriccio il bambino cerca di conoscere “sperimentalmente” quanto è dipendente dall`adulto e quanto, invece, può sentirsi ed essere emancipato da lui, è necessario, soprattutto nei giorni e nelle settimane successive, inventare delle risposte che riescano a ri-definire la “giusta” dipendenza (che sarà sentita come rassicurante ma non imprigionante) e la “giusta” autonomia (che sarà sentita come valorizzante ma non ansiogena). Si possono creare situazioni in cui vengano riconosciute e valorizzate le capacità di autonomia del bambino, temporalmente vicine ad altre, differenti situazioni, in cui lo si coccola e lo si accudisce. Non è il caso, in queste situazioni, di ricordare le scene del capriccio: se le risposte sono intonate ai reali bisogni profondi, il bambino (così come l`adulto) riuscirà a trovare nuovi più appropriati equilibri personali e relazionali. - Qualora il bisogno profondo sia quello di venire riconosciuto come soggetto della propria vita e delle proprie esperienze, è necessario che l`adulto abbia cura di dare al bambino in modo esplicito un adeguato riconoscimento e una opportuna valorizzazione degli aspetti soggettivi della sua esperienza: desiderio, piacere, emozioni, sentimenti, volontà, bisogno di opposizione... Nel momento del capriccio, si potrebbe, per esempio, dirgli qualcosa del tipo: “Sei davvero molto arrabbiato, perché le patatine le vuoi proprio, e ti disperi, perché io ho deciso che non te le compero. Io so, però, che tu sei in grado di sopportare questo dispiacere”. Nei giorni successivi, indipendentemente dal passato capriccio, conviene raccogliere le emozioni e le esperienze del bambino, e descriverle in modi per lui comprensibili, tipo: “Eri contenta, prima, quando era venuta a trovarti la tua amica, eh?”, “Forse hai più voglia di giocare a pallone con gli amici, che non di venire con noi a fare la passeggiata”. Conviene, inoltre, cercare di fargli fare esperienze in cui possa sentirsi riconosciuto e valorizzato come soggetto, con un effettivo, anche se proporzionato, potere. Come abbiamo visto, le risposte al “capriccio” hanno da essere date in due tempi: le prime, quelle da dare subito, sono relative ai “temi” espliciti, e devono mirare principalmente a fermare il “capriccio”; le altre, da dare soprattutto nei giorni e nelle settimane successive, sono relative ai “temi” impliciti, e devono mirare a raccogliere e soddisfare i bisogni profondi presentaficati dal capriccio. Risposte immediate. Il capriccio si struttura come conflitto esasperato, come espressione di angoscia impotente, come impotente rabbia furibonda. Se non si riesce a risolverlo in breve tempo, esso rischia di apparire inarrestabile, cosa che aumenta il senso di impotenza e di angoscia in entrambi i partner relazionali che vi si trovano impegnati. Ad un certo punto, bisogna riuscire a fermarlo. Come? È utile e possibile dire (e fare) con fermezza: “Adesso: Basta”. Oppure: “Adesso vai di là, bevi un bicchiere di acqua, e te la fai passare. Poi, quando ti è passata, torni di qua e riprendiamo il contatto”. Oppure: “Adesso vado di là, così io mi calmo e tu te la fai passare. Torno fra cinque minuti. Vedrai che sarà finita”. O anche: “Fattela passare, adesso. Vedrai che ci riesci. Io ti voglio bene, ma tu devi smetterla. Quando te la sarai fatta passare, vedrai che starai meglio”. Certe volte, infatti, rimanere in contatto diretto può rendere più difficile l`acquietarsi. Può essere utile interrompere il contatto, per un breve tempo. Ma una cosa, fra tutte, è fondamentale: mai mettersi al livello del bambino. Mai. Anche quando è esasperato, il genitore deve ricordarsi di essere su un altro piano. Non è mai il caso di mettersi e litigare col bambino. La relazione non è paritaria. Noi abbiamo dei compiti educativi, abbiamo la responsabilità di cercare di aiutare i nostri figli ad attrezzarsi per affrontare la vita, con i suoi limiti, con le sue frustrazioni, con le sue necessità di mediazione. Quando ci si accorge che si sta “litigando” coi nostri figli, conviene smetterla subito, e assumere un atteggiamento differente, recuperando prontamente la nostra posizione di genitori. In ogni caso, è necessario chiarire al bambino che è il modo relazionale del capriccio quello che non è accettabile: il bambino deve trovare dei modi adeguati di far presenti i propri desideri (di superficie e profondi) e i propri bisogni. Nei giorni seguenti il capriccio, lo si può aiutare insegnandogli come potrebbe fare in altre occasioni, anche con esempi concreti alla sua portata. Risposte differite. Mai le risposte immediate da sole sono sufficienti. Come abbiamo visto, le risposte ai bisogni profondi sono prevalentemente affidate alle risposte differite. Se si riesce a comprendere quale fosse il piano importante soltanto dopo che il capriccio è terminato, (e non sempre ci si riesce, né durante né dopo), è sempre utile anche in tempi successivi attivarsi su quel piano e cercare di dare su quel piano risposte adeguate: segnalando gratuitamente il proprio amore, riconoscendo il potere sensato del bambino, attivando in modo chiaro e coerente il proprio potere sul bambino, riconoscendo il valore della soggettività del bambino, e così via. Spesso, anzi, gli interventi a posteriori sono più facili e più efficaci nel risanare una situazione relazionale difficile, perché meno pressati dalla vivezza del conflitto, e quindi più liberi. Se le risposte sono adeguate, non serve richiamare esplicitamente l`episodio del capriccio: in modo più o meno inconsapevole, entrambi lo capiscono benissimo. “Raramente le concessioni fatte per quieto vivere si rivelano efficaci”. Asha Phillips, I no che aiutano a crescere. “Un bambino punito fino all`umiliazione sarà più interessato alla vendetta che a chiedere scusa”. T. Berry Brazelton e Joshua D. Sparrow, Il tuo bambino e la disciplina “Le bizze di un bambino di due anni potrebbero cominciare a sembrare in misura minore degli episodi di perdita di controllo e in misura maggiore un tentativo del bambino di affermare la propria capacità di controllarvi ... Una crisi di collera è una forma di comunicazione ... vi ricorre quando non sa più in che altro modo imporsi. Il compito del genitore è aiutare il figlio sia a imparare modalità alternative per esprimere i propri bisogni sia ad accettare il fatto che non sempre si può fare quello che si vuole”. T. Berry Brazelton e Joshua D. Sparrow, Il tuo bambino e la disciplina “Una madre che permette al figlio di essere sgarbato e poco rispettoso nei suoi confronti gli comunica che è questo il modo giusto di trattarla”. Asha Phillips, I no che aiutano a crescere “Nella maggior parte dei casi, i genitori picchiano un figlio quando perdono momentaneamente il controllo. Chiaramente, non c`è nulla di positivo che il bambino possa imparare in queste situazioni”. T. Berry Brazelton e Joshua D. Sparrow, Il tuo bambino e la disciplina Come nascono i capricci Quella dei capricci è una questione difficile e delicata, perché, nel momento del capriccio, noi genitori sentiamo l`angoscia e la rabbia nostra che cresce assieme all`angoscia e alla rabbia del bambino. Sentiamo la provocazione, la sfida, ma anche il senso di impotenza: nostro, sì, però anche suo. E la delusione, e la pretesa, e lo sconforto: nostri, ma anche suoi. È facile, allora, che perdiamo le staffe e assumiamo comportamenti reattivi (di cui, magari in tempi successivi, è probabile che ci pentiremo): o eccessivamente restrittivi, o eccessivamente permissivi. Atteggiamenti comunque eccessivi. È allora importante potersi orientare, almeno a grosse linee, sia per cercare di prevenire i capricci, sia per riuscire a venirne a capo in modi adeguati, una volta che il capriccio è scoppiato. I capricci sono fenomeni relazionali. Troppo spesso viene da considerare il capriccio come fosse una cosa che riguarda soltanto il bambino. Con l`aggettivo “capriccioso”, si è tentati di ridurre il capriccio addirittura a una caratteristica personale del bambino. Ma non esiste nessun bambino che faccia un capriccio quando si trova da solo. Perché si strutturi un capriccio, è necessaria la compresenza del bambino e di un qualche adulto cui il bambino è e si sente affidato. I capricci, infatti, sono fenomeni relazionali. Nascono all`interno della relazione, si svolgono all`interno della relazione e mirano (sia pure malamente) a modificare qualche cosa di importante nella relazione. I capricci si svolgono sempre su due piani. Sembrerebbe impossibile che un bambino sia davvero angosciato e davvero furibondo solo perché, per esempio, al supermercato vuole il gelato e la mamma non glie lo vuole comprare. Sembra davvero una assoluta insensatezza che dia tutta quella importanza a un gelato. Anche per questo il suo capriccio suscita risposte così irritate e controaggressive. Il fatto è che i capricci si svolgono sempre su due piani: l`uno, quello esplicito, che coinvolge cose sciocche pressoché irrilevanti per entrambi i partner relazionali (come il gelato dell`esempio); l`altro, quello importante, implicito, di cui entrambi non sono consapevoli, se non in modo piuttosto vago. Per di più, quasi sempre ne è un pochettino più consapevole il bambino che non il genitore. Il piano esplicito. Qualsiasi oggetto, o azione, o evento, o possibilità può essere il centro attorno al quale si struttura il piano relazionale esplicito del capriccio. Da parte dell`adulto, la cosa per cui viene scatenato il capriccio è sempre considerata di per se stessa una sciocchezza: o per la qualità (“Ma insomma: basta Non è che un gelato”), o per la quantità (“Smettila Te l’ho già preso tre volte, oggi”). Al contrario, per il bambino la cosa sembra avere assunto un`importanza assoluta, quasi fosse questione di vita o di morte. Il fatto è che, sotto sotto, anche per il bambino la cosa esplicita non ha un grande valore di per se stessa. Ha valore, sì, ma come rappresentante di quello che si svolge sull`altro piano: quello importante, quello implicito. Il piano importante, implicito. Il piano importante, implicito, quasi mai è immediatamente evidente, anche se gli indizi di esso sono sempre squadernati lì davanti agli occhi, pronti ad essere decifrati per chi li sappia cogliere. Il bambino fa di tutto (malamente, purtroppo per entrambi) per far cogliere all`adulto questi indizi, però senza quasi mai riuscirci, soprattutto a causa dei modi rabbiosi, rivendicativi, irritanti messi in atto. Quello che si gioca sul piano importante, implicito, può riguardare molti aspetti della vita mentale e relazionale del bambino, della vita mentale e relazionale dei genitori, e - direttamente - della relazione tra il bambino e l`adulto cui egli si trova affidato (che non è detto debba necessariamente essere uno o entrambi i genitori). I più frequenti aspetti in gioco (visti dalla parte del bambino) sono i seguenti: a) “Ho bisogno di un segno concreto del tuo amore per me, perché non sono sicuro che tu (in questo momento, o in questo periodo, o in ogni momento) mi ami”. Questo bisogno di rassicurazione sull`essere amato può dipendere da moltissime circostanze. Potrebbe essere che il genitore in quel periodo è davvero distratto da preoccupazioni e problemi “da grandi”, che lo allontanano mentalmente e magari anche fisicamente dal bambino (questioni di lavoro, disgrazie, difficoltà economiche, difficoltà relazionali col partner amoroso, studio, attesa di una promozione, forte interesse per qualche cosa, ecc.). Può essere che il bambino dubiti dell`amore dei genitori per lui, perché è in arrivo (o è già arrivato) un fratellino o una sorellina. “Che bisogno avevano di farne un altro? Forse li ho delusi”. Il bambino potrebbe essere angosciato perché ha sentito che mamma e papà intendono separarsi, o ha visto che realmente si sono separati. “Se si separa da papà, magari questa qui si separa anche da me, e io resto tutto solo”. Ma ci possono essere altre motivazioni, quali il sentirsi in colpa verso l`adulto: “Ho bisogno di essere rassicurato che la mia colpa non ha fatto venir meno il tuo amore per me”. Oppure: “Mi sento trascurato su qualche cosa di importante per me, per cui ho bisogno di un gesto concreto che mi testimoni che mi vuoi bene”; “Sento te come distratto, addolorato, depresso, preoccupato, fragile, bisognoso, confuso, entusiasta per qualcosa d`altro, ecc., per cui temo (o percepisco) di avere perduto il tuo amore, e cerco una rassicurazione. Ho bisogno di mettere te alla prova”. b) “Ho bisogno di sapere quanto potere ho io, sia in assoluto sia nella relazione con te”. Il potere è quella funzione relazionale che fa sì che un`altra persona faccia qualche cosa che altrimenti non farebbe. “Ho bisogno di mettere me alla prova”. Posso anche avere bisogno di verificare quanto tu accetti che anche io possa avere un po` di potere su di te, e non solo tu su di me. Posso, infatti, essere angosciato sia se ho troppo potere sia se ne ho troppo poco. Ho bisogno di verificare quanto potere ho, da un lato per non sentirmi in balia soltanto di me stesso (cioè: non affidato a nessuno), e dall`altro lato per non sentirmi schiacciato dalla prepotenza degli altri, te compreso. Percepire di avere un effettivo potere è spesso una scorciatoia per riuscire a percepire se stesso come soggetto della propria vita e della propria esperienza nella propria rete relazionale, e non come sottomesso. Certi atteggiamenti realmente prepotenti, realmente “sadici”, nascono dall`incapacità di soddisfare in altri modi il fondamentale bisogno di sentirsi riconosciuto come soggetto. c) “Ti segnalo che non stai gestendo adeguatamente il tuo potere con me, mentre io ho bisogno che tu lo eserciti adeguatamente, in modo più chiaro, coerente ed esplicito, così che io possa orientarmi meglio e trovare così sicurezza”. In questo caso, col capriccio il bambino provoca l`adulto, per poter avere la percezione di essere importante per lui. Gli segnala che ha bisogno che nelle interazioni con lui vengano attivate funzioni “paterne”, benevoli ma ferme, che sanciscano i limiti e le regole. Ha bisogno, in sostanza, che l`adulto gli dica “No”, con fermezza e con chiarezza. Spesso, quella di ricevere regole ben definite e vincolanti è un`esigenza di percepire attorno a sé un mondo in cui ci si possa muovere con una sufficiente sicurezza, come potrebbe essere per noi adulti l`esigenza che si installino dei chiari ed univoci segnali stradali nel traffico convulso. La fermezza, la coerenza e la sensatezza nel porre le regole fanno parte dell`amorevolezza. E il bambino lo sente. d) “Ho bisogno di sapere se la persona cui sono affidato è sufficientemente stabile e forte”. Poche cose sono così angoscianti per un bambino come il constatare che l`adulto cui è affidato è una specie di fragile marionetta in suo potere. L`insicurezza devastante che ne deriva talvolta viene dal bambino affrontata assumendo lui la parte di quello “forte”, che impone il proprio volere. Ma, inevitabilmente, lo farà come può farlo un bambino, senza gran che di esperienza di vita. Sarà, allora, una specie di caricatura di “forza” e di “sicurezza”. Tenderà, così, ad assumere atteggiamenti dispotici, dittatoriali, che rischiano addirittura di intimidire l`adulto insicuro, soprattutto se si sente per qualunque motivo colpevolizzato verso il bambino medesimo. e) “Ho bisogno di sapere che non sono solo affidato a te, ma che ho anche un certo grado di autonomia da te”. Fin dall`epoca dell`allattamento il bambino ha, sì, bisogno di affidarsi e di dipendere dalla mamma, ma ha anche bisogno di sentire riconosciuto un certo grado (all`inizio piccolissimo) di autonomia (nel ritmo e nella durata della suzione, per esempio). Quando un bambino sente preclusa ogni possibilità di riconoscimento delle sue proprie competenze e del suo proprio realistico grado di autonomia, è possibile che, prima di disperarsi del tutto, cerchi di “forzare” l`adulto con dei capricci. Il guaio è che, di solito, in tal modo ottiene il risultato opposto: si fa percepire, infatti, come troppo piccolo, inaffidabile, “capriccioso”, da tenere ancor più sotto tutela. f) “Ho bisogno di percepire me come soggetto della mia vita e ti segnalo la necessità che tu te ne accorga e che mi riconosca in questo mio bisogno”. Per il benessere psichico e relazionale, un elemento di base indispensabile è avere la possibilità di sentirsi, di essere, e di essere riconosciuto dagli altri come soggetto della propria vita e della propria esperienza. Il bambino ha bisogno che sia sistematicamente riconosciuto dagli adulti che si occupano di lui il valore del suo sentire, del suo pensare, del suo desiderare e del suo volere. Questo non vuol dire che gli si debba dare il potere su tutto e su tutti, o che si debba sottomettersi al suo pensiero o al suo sentire, o che ogni suo desiderio debba essere legge. Quello che lui sente, pensa, desidera e vuole è importante, se ne tiene conto, ma deve inserirsi nel mondo complessivo guidato dagli adulti, in cui le leggi le stabiliscono i grandi. Per il bambino, come del resto per tutti noi, è più importante sentirsi riconosciuto come soggetto desiderante, piuttosto che non ottenere la cosa desiderata. Si può riconoscere che, sì, il gelato è una gran bella cosa (anche se i dietisti, giustamente, non sono affatto d`accordo...), ma che questa volta non lo si compera. Ricapitolando e precisando: gli ambiti in cui si muovono le interazioni sul piano relazionale importante, implicito, del capriccio sono, dunque: l`amore; il potere mio; il potere tuo; la forza, la stabilità e la chiarezza; l`essere affidato e l`essere emancipato; la soggettività. Comunque sia, tanto sul piano relazionale esplicito di superficie, quanto su quello implicito, nell`attivarsi di un capriccio avvengono delle interazioni che è possibile riconoscere e che è necessario gestire in quanto tali su tutti due i piani. Il bambino, nel momento in cui chiede qualche cosa attraverso un capriccio, immette sui due piani della relazione almeno quattro elementi: 1) il desiderio di superficie (per esempio: il famoso gelato), collegato con il bisogno profondo (per esempio: la rassicurazione sull`essere amato, o la chiarezza del rapporto di potere); 2) l`aspettativa deludente e angosciante che il desiderio di superficie non verrà soddisfatto e che il bisogno profondo verrà misconosciuto; 3) l`espressione rabbiosa e la protesta contro questa prevista frustrazione; 4) la spinta per costringere l`interlocutore a modificare il proprio atteggiamento. È ben comprensibile, allora, che l`adulto, che si sente investito dalla turbolenza di queste “onde” relazionali (angosciate, accusatorie, pretestuose, rabbiose), possa perdere l`orientamento e annaspare. Si resta spesso fissi sul piano di superficie. Per come si presenta il fenomeno “capriccio”, quasi mai i due che vi si trovano coinvolti (bambino e adulto) arrivano a cogliere e a “negoziare” il rapporto sul piano relazionale importante, che così rimane implicito: si fermano (quasi) sempre al solo piano di superficie, che, come entrambi più o meno chiaramente sanno, è pretestuoso. Questo ingenera frustrazione e rabbia in entrambi, sia nel mentre che si svolge la relazione del capriccio sia dopo, quando il capriccio è stato accantonato. Quasi mai il capriccio viene superato. Per fare questo, è indispensabile che sia individuato il piano importante implicito e che le interazioni proseguano su quel piano, abbandonando quello pretestuoso di superficie. Anziché risolto o superato, quasi sempre il capriccio viene accantonato, perché le interazioni permangono fino alla fine dell`episodio solo sul di per se stesso irrilevante piano pretestuoso, e lasciano immodificata ogni cosa sul piano importante, implicito. L`uscita dall`episodio relazionale del capriccio, infatti, quasi sempre avviene quando uno dei due “cede”, “dandola vinta” all`altro sul piano pretestuoso, cosa che risulta frustrante per entrambi i partner relazionali, e che lascia in entrambi uno strascico di rancore e livore. Entrambi si sentiranno cattivi, e quindi in colpa: sia il “vincitore” sia il “vinto”, comunque siano andate a finire le cose. La rabbia. La rabbia che investe i partner relazionali durante l`episodio “capriccio” ha molte motivazioni, la principale delle quali è il senso di impotenza legato al fatto che si percepisce che ci si sta occupando di una stupidaggine, mentre il vissuto è quello di chi sta trattando qualche cosa di vitale. È principalmente l`equivoco che fa arrabbiare, il sentirsi non capiti, non considerati e, soprattutto, contraddetti su qualcosa di importante che viene misconosciuto. E che permane misconosciuto, anche quando uno dei due la spunta. In ogni caso i due restano rabbiosi, anche quello che viene accontentato, sia esso il genitore o sia il bambino. Pubblicità televisiva e capricci. La pubblicità televisiva, nella quale sono quotidianamente immersi i nostri bambini (come del resto noi genitori), favorisce gli equivoci fra oggettino posseduto e realizzazione di sé, fra oggettino donato e relazione di amore. Essa è, quindi, un potente terreno preparatorio per l`instaurarsi della relazionalità “capriccio”, che, per l`appunto, è strutturata sulla sostituzione di un piano profondo importante con un effimero piano superficiale concreto. Attenzione: non tutto è “capriccio”. Ci sono espressioni eclatanti di angoscia disperata che non sono “capricci” e che sarebbe deleterio considerare tali. In esse, è differente la struttura relazionale: manca il livello superficiale esplicito concreto (come il gelato dell`esempio ricorrente). Il bambino, per esempio, si rotola per terra, gridando disperato che a scuola non ci vuole andare. È visibilmente angosciato, ma sembra non sapere o non osare dire perché. Al bambino viene da imboccare la strada di questo tipo di attivazione relazionale così clamorosa (anziché le usuali modalità comunicative) quando sente o pensa di non poter trovare ascolto o aiuto per ciò che lo angoscia oltre misura. Può essere che si vergogni o che si senta in colpa a mostrare ai genitori la propria angoscia e la situazione che la genera, e che dia per scontato che o non verrà creduto, o verrà disprezzato, o verrà sgridato e punito. L`angoscia può essere innescata dalla paura per un pericolo reale (Per esempio: “Ci sono dei grandi che mi minacciano”), o per la previsione di una intollerabile umiliazione (“Dovrò cantare davanti a tutti, e non sono capace”). Queste comunicazioni disperate devono essere prese molto sul serio, facendo sentire al bambino che si ha una genuina intenzione di capirlo e di aiutarlo, e che si sta dalla sua parte. Bisognerà cercare di comprendere che cosa lo angoscia e perché, aiutandolo poi ad affrontare la situazione in modi realistici ed efficaci, magari inventando insieme opportune “strategie”. Spesso, già il solo percepire di essere stato preso davvero sul serio costituisce un valido aiuto, che facilita in lui il reperimento e l`attivazione di proprie adeguate risorse. .

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